06 luglio 2023

Crisi demografica e pensioni, che futuro ci aspetta?

L'inverno demografico italiano mette a rischio la sostenibilità delle nostre pensioni future. Ecco tutti i numeri della previdenza complementare, le categorie di lavoratori più a rischio e le proposte avanzate al Governo Meloni dalle Parti sociali

L’inverno demografico italiano

L’Italia invecchia. A passo spedito. È la fotografia scattata dalla terza edizione degli Stati generali della Natalità, che si sono svolti a Roma l’11 e il 12 maggio 2023. Nuovi dati choc, annunciati dal presidente uscente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, descrivono la crisi demografica nazionale e rilanciano un allarme già tristemente noto. Siamo un Paese vecchio, con età media pari a 48 anni e 18 milioni di pensionati (di cui oltre 800 mila ultranovantenni). Nel 2070, secondo le proiezioni Istat, gli ultranovantenni diventeranno 2,2 milioni a fronte di una drastica contrazione della forza lavoro. Già da qui al 2030, i lavoratori italiani caleranno di 1,8 milioni di unità.

 

La pensione dell’Inps non basta più

L’istantanea di un mondo che cambia e ci pone innanzi nuovi interrogativi. Un declino demografico è una emergenza vera e propria, perché un paese che invecchia non guarda al futuro. Non cresce economicamente, non innova, e fa fatica a pagare le pensioni. Soprattutto se il nostro primo pilastro previdenziale è a ripartizione, per il quales ono i giovani oggi a pagare le pensioni dei genitori e dei nonni. Ma cosa accadrà, tra qualche anno, quando non ce ne saranno abbastanza per sostenere il welfare nazionale? Per evitare l’esplosione di una “bomba sociale” nei prossimi decenni occorre affrontare la transizione demografica con ragionevolezza.

 

I numeri della previdenza complementare

Sostenere le famiglie e supportare le donne che lavorano sarebbe un ottimo inizio, come pure sarebbe auspicabile cogliere le opportunità che potrebbero arrivare da flussi migratori regolamentati con norme comunitarie condivise. Ma queste due leve – incremento della natalità nazionale e immigrazione dall’estero - non sarebbero comunque sufficienti a invertire la tendenza demografica italiana. Potrebbero solo contenerla. Pertanto, è necessario praticare il senso di realtà e adoperarsi in tempo per coadiuvare la crescita della previdenza complementare. Essa non è più un’opzione, ma una necessità concreta del sistema Paese per assicurare a tutti una vecchiaia sostenibile ed economicamente dignitosa. La previdenza di primo pilastro, da sola, non potrà bastare. Quali sono, allora, i numeri della previdenza integrativa? La relazione annuale della Covip parla chiaro. A fine 2022, gli iscritti alla previdenza complementare erano 9,2 milioni, il 5,4% in più rispetto al 2021. Di questi, 3,7 milioni sono iscritti ai fondi pensione negoziali. Rispetto al 2021, questi ultimi hanno registrato una crescita del 9,9%. Il dato è positivo e lascia ben sperare. Ma nella previdenza integrativa persistono delle criticità sistemiche di cui è bene tener conto.

 

Più a rischio giovani, donne e il Mezzogiorno

Innanzitutto, una criticità sistemica riguarda il gap di genere: perché l’adesione è sbilanciata a svantaggio delle donne, che costituiscono solo il 38,2% del totale. Poi c’è il fattore anagrafico: il 48,9% degli iscritti ai fondi negoziali ha età compresa tra 35 e 54 anni e il 32,3% ha già compiuto 55 anni. Infine, la composizione geografica: la maggior parte degli iscritti è situata nelle regioni del Nord, con il 57,1% del totale. Di conseguenza, emerge che la maggior parte della popolazione italiana oggi resta esclusa dalla previdenza integrativa. Soprattutto, ne restano esclusi i giovani e le donne (troppo spesso costretti a lavori poveri, discontinui, part-time, in nero). Ma la silver age è già realtà. Come correre ai ripari? Il Governo ha annunciato, nell’incontro di fine maggio a Palazzo Chigi con le parti sociali, che affronterà, attraverso confronti tecnici dedicati con le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali,  non solo i nodi sulla previdenza obbligatoria (la flessibilità in uscita ed esodi, pensione di garanzia per i giovani, sconti contributivi per le donne lavoratrici, estensione della  platea dei lavori gravosi e usuranti), ma soprattutto il tema del rilancio della previdenza complementare.

 

Le proposte avanzate al Governo Meloni dalle Parti sociali  

Per le Parti sociali è importante rilanciare le adesioni alla previdenza complementare negoziale con un nuovo periodo di silenzio-assenso – come accadde nel 2007 - e una “adeguata campagna informativa e istituzionale” per spiegare ai cittadini i vantaggi dell’iscrizione ai fondi pensione.  Fondamentale sarebbe pure favorire maggiormente una fiscalità agevolata, allargare la previdenza complementare ai settori che ne sono ancora privi – come il comparto sicurezza e le partite IVA – e promuovere “le condizioni perché i fondi investano maggiormente nell’economia reale del Paese, prediligendo il sostegno alle infrastrutture, anche sociali”. Molto c’è da fare. E il faro dovrà essere sempre l’art. 38 della nostra Costituzione: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Buon lavoro (e buona pensione) a tutti.

 

 

 

 

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